Grotta Romanelli torna a raccontare l’antica storia del Salento

Localizzazione_Grotta_Romanelli_Fig1Dopo 40 anni riprendono gli scavi ad uno dei siti più prestigiosi per la preistoria italiana, con un team multidisciplinare e all’insegna delle Nuove Tecnologie.

(Massimo Massussi, Raffaele Sardella, Sonia Tucci)

Grotta Romanelli (Castro, Lecce) è un giacimento archeologico e fossilifero risalente al Pleistocene Superiore e da sempre un sito di riferimento per lo studio della preistoria italiana ed europea.
Posizionata sulla costa orientale della penisola salentina, in quello che è definibile come uno dei più interessanti sistemi ipogei della penisola stessa, determinato dalle grotte Zinzulusa, Le Striare e le grotte termali di Santa Cesarea, Grotta Romanelli si apre nel punto più interno di un’insenatura costiera, il cui piano pavimentale, al pari delle vicine grotte, si presenta impostato su una piattaforma di abrasione marina, posta a circa 7,4 m s.l.m., modellata probabilmente nell’ultimo periodo interglaciale (Fig.1-2).
Nella grotta, oggetto di ricerche a partire dalla segnalazione di Paolo Emilio Stasi nel 1900, poi con i principali scavi diretti dal 1914 al 1938 da Gian Alberto Blanc fino all’inizio degli anni ’70 con gli scavi diretti da Luigi Cardini, sono state rinvenute testimonianze della presenza umana risalenti a diverse epoche e per un intervallo temporale che copre decine di migliaia di anni. La scoperta di strumenti in pietra ha consentito per la prima volta agli studiosi di riconoscere la presenza del Paleolitico Superiore in Italia dando origine a un acceso dibattito che vide coinvolte importanti personalità dell’epoca come L. Pigorini e che ebbe una grande risonanza internazionale.

I DEPOSITI DELLA GROTTA

Lo sviluppo dei depositi avvenuto durante il Pleistocene, ha portato alla formazione di quel complesso paleontologico ed archeologico che oggi riconosciamo essere di enorme valenza per la comprensione delle dinamiche delle popolazioni umane nel Paleolitico italiano ed europeo (Fig.3). La successione stratigrafica dei livelli inferiori e più antichi del giacimento (strati K-G), presentano numerosi resti di vertebrati quali l’elefante antico, l’ippopotamo e il cervo associabili a condizioni climatiche temperato-calde che, in base alla quota, sono stati attribuiti all’ultimo periodo interglaciale (Blanc 1920; Margiotta & Sansò 2014). L’industria litica è rappresentata da pochi manufatti, come schegge ritoccate e non, anche di quarzite.
Questi depositi sono separati dai superiori da una crosta stalagmitica (strato F), che li ha sigillati.
Il livello che poggia sul velo stalagmitico, conosciuto come le “Terre Rosse” (strato G), è stato attribuito inizialmente da Piperno al Musteriano su calcare di facies Quina (Piperno 1974). L’industria litica è caratterizzata da macrolitismo, con schegge di grandi dimensioni e aspetti tecno-tipologici che richiamano una certa arcaicità: è completamente assente la tecnica Levallois, il debitage non presenta preparazione (i talloni dei supporti litici sono lisci o corticali), sono presenti nuclei di grosse dimensioni, grosse schegge erte, bifacciali e pseudo chopping tools. Considerazioni sulle associazioni faunistiche e sull’industria litica in calcare, rinvenuta in queste terre, inducono Piperno (1992) a suggerire una maggiore antichità del complesso e una sua possibile attribuzione alle fasi finali del Paleolitico inferiore. La verifica di questa ipotesi è uno degli obiettivi delle ricerche avviate nel 2015 dagli scriventi. Nel 2014 uno studio sul canide proveniente dal livello G ha permesso di riferire il carnivoro a Canis lupus (Sardella et al. 2014).
La parte superiore delle “Terre Rosse” è, a sua volta, sigillata da un’altra crosta stalagmitica (strato H). Questi due strati stalagmitici hanno fornito, sino ad ora, grazie al metodo del Th/U, una datazione delle “Terre Rosse” ascrivibile ad un range cronologico che va dai 69000 ai 40000 B.P.
L’orizzonte stratigrafico superiore, quello delle “Terre Brune” (strati E-A), è stato attribuito al Paleolitico Superiore, denominato Romanelliano (Epigravettiano finale), caratterizzato da uno strumentario tendenzialmente microlitico, con tecniche di scheggiatura di tipo laminare e lamellare (punte La Gravettes e micro Gravettes), con abbondante debitage e numerosi strumenti. Omogeneo è il complesso faunistico, con uro, idruntino, cervo, lepre, volpe, avifauna steppica e boreale tra cui ricordiamo il pinguino boreale Alca impennis (Blanc G.A. 1928; Cassoli 1992). L’abbondante industria in materia dura animale è stata, sinora, rinvenuta solo all’interno della stratigrafia epigravettiana e lo studio è stato condotto, prevalentemente, da un punto di vista morfologico/funzionale. Diversi sono i tipi di manufatti tra cui punte e oggetti d’ornamento, alcuni realizzati su canini atrofici di cervide, decorati con marques de chasse (Molari 2003).
Questi depositi vennero datati al radiocarbonio negli anni ’60, sia a Roma che a Groningen, restituendo una discrepanza nelle datazioni: le analisi fatte a Groningen sui campioni di carboni fornirono un range oscillante tra 9.880 +/-110 BP e 10.320 +/-130 BP per lo strato A e 10.740 +/-100 BP per lo strato D, collocando la sequenza degli strati paleolitici nella fase iniziale dello stadio isotopico 1 e, più precisamente al Dryas III. Il laboratorio di Roma ha fornito date di 9.050 +/- 100 BP e 11.800 +/- 600 BP per lo strato A e 11.930 +/- 520 BP per lo strato B, situandosi sempre nello stadio isotopico 1 ma nell’interstadiale di Allerød (Bietti 2003).

Stratigrafia_Blanc_Romanelli_1928_Fig.3

L’ARTE DI ROMANELLI

Grotta Romanelli è un sito che presenta evidenti tracce di arte paleolitica. Numerosi ritrovamenti di arte mobiliare nelle terre brune (111 reperti), associati alle incisioni che ricoprono buona parte della volta della grotta rendono questo sito interessante e oltremodo suggestivo.
Vari autori hanno descritto e analizzato, sotto il profilo cronologico-culturale, i materiali e le loro osservazioni sono essenzialmente ancora valide, come per il famoso blocco dipinto con l’immagine del “pettiniforme” in ocra rossa, considerata un importante esempio dello stile schematico e interpretata con una rappresentazione plurima probabilmente zoomorfa (Frediani 2003).
La volta e le pareti della grotta presentano numerose incisioni, la maggior parte definite fusiformi (Fig.4), di incerta interpretazione e numerosi segni lineari. L’unico esempio, al momento, di immagine di tipo naturalistico è la rappresentazione di un bovide.
Le immagini dell’arte mobiliare, appartengono ad uno stile geometrico-lineare di tipo non figurativo (Vigliardi 1996). I motivi ricorrenti sono: la scaletta, il fascio di linee, il nastriforme, segni lineari compaiono sia sparsi, a gruppi, sia paralleli. Rare sono le immagini di tipo naturalistico, con figure animali: due bovini, un cervo, un felino, un cinghiale e quattro immagini di quadrupedi di difficile interpretazione.
La produzione artistica di Grotta Romanelli è considerata uno degli esempi maggiori della cosiddetta “provincia mediterranea” (Graziosi 1956); rispetto a tutte le tendenze espressive della fine del Pleistocene manca a Romanelli solo la produzione nello “stile aziliano” che lo rende un complesso unico e fondamentale nel panorama artistico del Paleolitico italiano.

 

 

LE NUOVE RICERCHE. MULTIDISCIPLINARITA’ E TECNOLOGIA

A settembre 2015, sono riprese le attività di ricerca e scavi a Grotta Romanelli (Fig.5).
Il Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Roma “Sapienza”, Laboratorio PaleoFactory sotto la direzione del Prof. Raffaele Sardella e del Dott. Massimo Massussi coordinano un team multidisciplinare, composto da ricercatori archeologi preistorici e paleontologi dell’Università di Roma “Sapienza”, geologi dell’IGAG del CNR, in collaborazione con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia. Il progetto di ricerca è patrocinato da AIQUA (Associazione Italiana per lo Studio del Quaternario) e da SPI (Società Paleontologica Italiana). Sono attive collaborazioni anche con l’università di Ferrara e l’Istituto Italiano di Paleontologia Umana.
Le prime attività nel sito hanno visto la messa in luce della seriazione stratigrafica e l’acquisizione dei primi campionamenti per lo studio della matrice di formazione della grotta e per la stratigrafia isotopica.
Gli obiettivi inerenti le future ricerche che il team si è prefisso sono molteplici: riprendere lo studio della seriazione stratigrafica messa in luce da Blanc e successivamente da Cardini per correlarla con i nuovi dati di scavo, analizzare correttamente i depositi e i materiali delle “Terre Rosse”, effettuare datazioni aggiornate dei depositi, svolgere studi tecno-funzionali e sperimentali sui materiali litici, contestualizzare nel panorama culturale di transizione gli aspetti dei resti antropologici delle “Terre Rosse-Terre Brune”, definire una possibile incidenza di paleoreti ecologiche all’interno di tale panorama e molto altro.
Le nuove ricerche, però, si differenziano da quelle precedenti per la presenza delle nuove tecnologie, essenziali in questo tipo di approccio. Un’articolata piattaforma GIS per la gestione dei dati di scavo farà da base per le future analisi territoriali e sarà strumento indispensabile per la ricostruzione dei paleopaesaggi terrestri e subacquei, l’uso di droni e micro-droni contribuiranno alle attività di rilievo speditivo della grotta e del territorio ad essa circostante e forniranno dati che arricchiranno la piattaforma GIS per le analisi territoriali, le riprese fotogrammetriche e l’uso di laser scanner 3D ricostruiranno il giacimento e i suoi depositi, le TAC saranno di ausilio per lo studio dei reperti paleontologici.
Un simile approccio permette, quindi, di sfruttare le potenzialità di strumenti che consentiranno, da un lato di comprendere meglio le dinamiche deposizionali e post-deposizionali del sito, dall’altro di mettere in atto un’attività di conservazione del giacimento e dei sedimenti in esso custoditi.

BIBLIOGRAFIA
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Cassoli P. F., 1992, Avifauna del Pleistocene superiore dell’Arene Candide, Praia e Grotta Romanelli (Italia). Quaternaria Nova II, pp. 239-246.
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